sabato 15 giugno 2013

rossetto e cioccolato


Sono settimane che mi sveglio prima dell'alba. Anche questo sabato mattina. Ancora nel letto, mi stavo riaddormentando, proprio 10 minuti prima di decidere di scendere in città. Avevo ancora bisogno di sognare. Uno sconosciuto attendeva l’ascensore sul pianerottolo insieme alla mia voglia di accender una sigaretta sotto il neon carico di gas come le viscere di uno malato di aerofagite. Perdo i sensi per alcuni secondi. Aggrappato al corrimano mi lascio avvolgere dai scarichi tossici della fossa dell’ascensore trattata da Biosanisystem (usato per igienizzazare e disinfestare questa cavità profonda con l'obiettivo di prevenire la formazione di muffe e parassiti). Mi risveglio al pianterreno.
Si sono arrivato, anche lo sconosciuto insieme a me. Avrà dato piacere lungo una notte intera a qualche vicino di casa. E’ ancora stropicciato il suo viso mentre sta scrivendo un messaggio alla sua vittima, o forse lo sta mandando ad un’altra? Stiamo bene, o al meno così mi è sembrato, siamo ancora vivi, entrambi. Lui sorride, è arrivata la risposta. Mi guarda, alza le spalle: "Fuori deve essere una gran bella giornata!"
"Si capita a tutti noi che guardiamo Nothing Hill o che pensiamo di vivere in un scenegiato di Ivory", risposi.  
Fa parte del mio acido desossiribonucleico rispondere in questa maniera e non si tratta di cinismo. Piuttosto dell’irnonia perche cinisimo è indotto, l’ironia va capita.
Tu invece Leone caro, sempre toccando il cielo sulle nuvole ringonfie di rock?, mi chiedevo. 
Parte la canzone che ho avuto in regalo proprio l’altra sera, al Jamaica: Rossetto e Cioccolato di Ornella Vanoni. Niente rock.


…A suon di rosssetto e ciocciolato inizio la città. Scaglie dorate di una cornice scrostata che Perseo ha sparso sul cielo di notte d’inverno…Io vorrei poterlo fare anche d’estate, ora, con la stessa delicatezza d’animo con la quale quel giovane - dopo aver staccato il cranio della Medusa - rese piacevole il terreno per pogiare la testa della Gorgone spargendo uno strato di fogliame che a contatto con il suo sangue si è trasformato in una forseta di coralli. Calvino. Rubo le sue parole, ma lui le aveva già rubate per cui: è un ladro colui che ruba ad un altro malfattore? Anche questa mi sembra una frase rubata.
Ma allora come far rivvivere sensazioni, momenti, visi o sorrisi altretanto fragli come i coralli di Perseo? Mi muovo lungo il Po immergendo le mani tra le crinierie dei cani che giocano e mi sfiorano.



Come assetato di contatto con qualcosa di leggero, un soffio di vento che a volte riordina i cappelli arruffati.  Questa sete, questa perversa ricerca, finalmente fu placata da un caffe al circolo dei canottieri Armida. 



Qualcosa mi ha impedito di lavare le mani prima di spezzare in due il cornetto che profumava di gusto industriale. Mentre sto battendo queste righe le mani sanno ancora di cornetto e di musica, di rosso e di cioccolato. Nei momenti in cui il regno dell’umano mi pare condanato alla pesantezza, vorrei volare come Perseo. Ecco, Calvino di nuovo.
Sono le 8h45, sono a casa e sto accendendo la seconda sigaretta della giornata. Noi che ancora racchiudiamo la bocca intorno ad una bionda, atraverso il fumo che si mescola con il vento umido del Po, mandiamo in aria un altro po’ di anidride carbonica arricchita di nicotina dando così il nostro contributo all’effetto serra che alle papere sul fiume e alla loro prole toglierà le estati e gli inverni e ...forse qualche anno di vita.


Photo © Copyright by @pralfio #instagram

martedì 4 giugno 2013

"Bruno Schulz è il mio dio" (Danilo Kis)

Sentiero Rilke, Duino, prima di addormentarmi

"Era uno di quelli cui Dio ha passato la mano sul viso nel sonno, così che sanno ciò che non sanno, diventano pieni di congetture e di sospetti, mentre attraverso le loro palpebre chiuse passano i riflessi di mondi lontani". Così scrive Bruno Schulz a proposito di Alessandro Magno nel suo racconto Primavera
 

domenica 2 giugno 2013

"Se questa rabbia inutile / è la mia sola dignità" - Giorgio Cesarano

Mi trovo a rileggere di nuovo, La tartaruga di Jastov - "Jastov è un'isola immaginaria", scrive, in nota al volume, Giorgio Cesarano - isola che lui
pare abbia visto "al largo della Jugoslavia, non lontana dalle acque territoriali albanesi",  nell'Adriatico, guardando le mura di Dubrovnik e le montagne serbe alle spalle - invece più a nord "Zadar. / (Nel molle della lingua / ancora viene: Zara.)".
Finì suicida. Nessuno della sua generazioni possedeva il suo talento figurativo, dicono. Lascia la poesia poco dopo la pubblicazione del "romanzo" La tartaruga di Jostov essendo fra i primi, appunto, a fornire un plausibile e duraturo fondamento espressivo - molto sentito in quel periodo storico - del "romanzo in versi". Nel 68' abbandona la poesia e passa alla politica - un poeta quindi che a un certo punto ha deciso di dimettersi dalla poesia.  

Il parlare odiato, sempre odiata necessità: "(Tenuti qui da parole: / ma / parlando come muti.) / Ma nell'intenso sforzo di / comunicare, come se /condividendo, / dubitando, / negando, / uno sbocco di vero rompa infine
questa / tosse spastica / e poi la guarigione cui si crede / contro i referti, senza conoscerla, / (tenuti vivi da parole) ..."
Da alcuni giorni sento poco, pochissimo. La testa è piena di liquido in putrefazione che preme contro i miei timpani. Ciclicamente fuoriesce riempiendo altri contenitori costringendomi ai continui lavaggi, abluzioni. Impuro senza un mujazin che mi possa invitare al rito di purificazione per l'orazione, posso solo guardare le immagini o le parole. Rileggo Cesarano e bevo molta acqua perchè mio-tutore-che-è-un-bravo-medico mi dice che devo reidratare quel che resta del mio corpo. Esiste un vero e proprio protocollo di rediratazione che va seguito alla lettera per evitare i crampi, la debolezza, l'alterazione dello stato mentale, le convulsioni e in fine il coma. Immagini alla televisione riportano disordini sulle vie e le piazze delle capitali del globo. Taksim e la città di Istanbul che ho appena lasciato. Questioni di alberi, apparentemente. Cesarano ha lasciato la vocazione e la pratica della poesia impegnandosi dapprima nelle piazze e nelle occupazioni coatte – come leggo nel racconto-testimonianza I giorni del dissenso, pubblicato da Mondadori nel 1968. 

Tossisco di nuovo, sputo cose liquose e torbide, masticandole prima per cercare di capirne la consistenza perché il pensiero della loro visione mi disturba a tal punto che le espello ad occhi chiusi, nel water. Fanno plof, ma non sento il loro rumore. Prendo del bentelan 1. Mio-tutore-che-è-un-bravo-medico dopo avermi visitato disse:" ...la tua propensione all'automedicazione è sconcertante. Ciononostante devo riconoscere che hai intrapreso una cura quasi idonea. Rimane il fatto però che sei un "dottore in niente"!". Un pò come il Debord, pensai, il padre del movimento che avrebbe anticipato il Sessantotto, autore del Panegirico (uscito da pochissimo in Italia in versione completa dei due tomi). Già i situazionisti, e la loro "denuncia" di quel regno liquido e cromatico dello spettacolo, della sovrastruttura (ritornando al linguaggio marxista) dove l'immagine e l'immaginazione, il "look" e il video sostituiscono la sostanza dei rapporti non solamente di produzione ma anche di quelli sociali. Controllo mio profilo su instagram, ne sono diventano un addicted. Intanto Otalgan scivola lumacosamente verso i miei timpani bellissimi. Già, aveva aggiunto mio-tutore-che-è-un-bravo-medico al termine della visita: "l'otite, però hai dei bei timpani, complimenti!". 
Sono le 8.05, mi alzerò ora per cercare un bar aperto e del caffè da portar via. Ho paura uscire fuori. Se non dovessi sentire i clacson delle macchine?! Se finissi sotto un tram di via XX Settembre? Mia madre non me lo perdonerebbe mai, morto sotto un tram dopo che aveva sborsato migliaia di marchi tedeschi per farmi uscire vivo da Sarajevo. Porterò con me Sebastian, mio coniglio di gommapiuma, è meglio. Potrebbe fare da cuscinetto tra me e l'automobile in caso di un urto violento. Ma è necessario che io esca ora, tra poco via Garibaldi e piazza Castello si riempiranno di gente. La gente.

"Questa gente!", con amarezza improvvisa, sbotta la Ruth della poesia di Cesarano, e lui decide di non voltarsi a guardare da dove proviene il baccano: "non posso, non devo: è Passato / Questa gente / deve passare, passerà". (Ecco che questa riflessione, degna dell'Ade, è compensata da quest'altra frase: "non
è la stessa / delle idee, dei discorsi, / la gente, / ex-sottouomini o i
loro figli, per tanto avendo parlato noi / a loro nome?").