fra un paio di generazioni leggeranno sui libri che l'eccessiva libertà d'espressione ha generato la più grande fase di decadenza del nostro secolo. ed ecco, un ulteriore contributo
domenica 30 settembre 2012
Tutto il corredo!
Sveglia Leone! Altro che ombrelli! Qui noi abbiamo l'intero corredo con tanto di tappetino per mouse Scalamandré e candela profumata. E' stato un regalo di compleanno della mia adorata sorella zebra newyorkese. Nessuno mi conosce quanto lei!
Buongiorno Leone!
Buongiorno Leone!
Eccomi qui, finalmente ce l'ho fatta. D'altronde lo sai, noi zebre a pois siamo ritardatarie di natura, nottambule nell'animo, amanti sfrenate delle ore piccole. Ci perdiamo in un bicchiere d'acqua ad ascoltare ore ed ore vacui discorsi di ogni sorta di specie viventi che ci capita di incontrare, qua e là, nelle varie metropoli-savane, durante l'eterno corso delle nostre continue migrazioni. Senza radici alcune, punti fermi, ci spostiamo di continuo da una parte all'altra di questo strano mondo, sempre alla ricerca, con il cuore colmo di malinconia per quel luogo che abbiamo appena lasciato ma con lo sguardo vivo di chi sta per scoprire un nuovo esaltante orizzonte. Eppure qui, per la prima volta mi sento a casa: la carta da parati Scalamandré che ricopre le quattro mura di questa nostra abitazione virtuale, è per me il più grande degli omaggi. Quando poi si parla di Zoologia Fantastica è impossibile tirarsi indietro.
E' passato poi molto tempo da quando in una misteriosa enciclopedia cinese (menzionata nell'introduzione del Manuale di Zoologia Fantastica di Borges) qualcuno cercò di fare un'approssimativa classificazione di noi specie fantastiche. "In quelle remote pagine è scritto che gli animali si dividono in a) appartenenti all'Imperatore, b) imbalsamati, c) ammaestrati, d) lattonzoli, e) sirene, f) favolosi, g) cani randagi, h) inclusi in questa classificazione, i) che s'agitano come pazzi, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, l) eccetera, m) che hanno rotto il vaso, n) che da lontano sembrano mosche."
Nonostante io apprezzi sinceramente questo divertente tentativo umano di provare a riconoscerci, schedarci e raccontarci, penso sia arrivato il momento di apportare qualche importante precisazione a questa magica lista, ormai un pò superata. C'è da dire che se sì -è vero- in passato siamo appartenuti all'Imperatore, ci agitavamo come cani per un nonnulla, rompendo un'infinità di vasi, eccetera, ci divertivamo a farci ammaestrare, ritrarre con un pennello finissimo di cammello, oggi tutto è decisamente cambiato. Per prima cosa nella savana contemporanea -come è facile notare- Zebre (a pois) e Leoni sono diventati finalmente buoni amici. Basta con gli agguati e le persecuzioni, con tutta quella violenza gratuita, basta con gli scherzi, con le stupide corse a perdi fiato, con quelle brutali e vecchie maniere di predominare sull'altro! Oggi Zebre (a pois) e Leoni sono una grande famiglia felice che usa lo stesso potenziale magico per affrontare ogni nuovo giorno.
Una cosa però è rimasta invariata: la lotta alla sopravvivenza. E anche se non riconosciamo più nei vecchi predatori il nostro nemico, continuiamo a fare quello che dalla notte dei tempi ci ha sempre caratterizzate. Essere Zebre significa prima di tutto scappare. E più sei brava a scappare, più il tuo manto si ricoprirà di pois e allora sarai libera, libera di scappare sempre più lontano. Una volta che i pois cominceranno ad apparire, scoprirai che in fondo nulla è cambiato. Perché sempre di lotta alla sopravvivenza si tratta. Continuerai ad avere lo stesso chiodo fisso, a tenerti lontano dal pericolo e ad evitare con tutte le tue forze il Nuovo Predatore. Con una sola differenza che sarà più difficile perché ad oggi il Mostro si è fatto più letale, allarmante e disgustoso che mai. Assume le forme più svariate e sembra aver conquistato molti angoli di questo pianeta. Ma nessuno come noi Zebre sa riconoscere il Nemico: ha il volto della noia, lo sguardo vuoto della banalità, il tanfo nauseabondo dello squallore, dell'assenza di bellezza, l'eco della mediocrità. Da questo, sempre, ovunque e comunque bisogna sapere scappare a gambe levate. Per noi questa è l'arte suprema poiché ci nutriamo di sola magia e dobbiamo preservarci. Nella nostra lotta alla sopravvivenza stiamo imparando a sfuggire da quel contatto con un manto che non sia raffinato e fantasioso come il nostro. D'altronde, nel corso della storia, questi pois ce li siamo sudati! Adesso siamo determinate a guardare il mondo attraverso il nostro filtro.
Undicesimo compleanno di Margot, omaggio a noi Zebre.
Eccomi qui, finalmente ce l'ho fatta. D'altronde lo sai, noi zebre a pois siamo ritardatarie di natura, nottambule nell'animo, amanti sfrenate delle ore piccole. Ci perdiamo in un bicchiere d'acqua ad ascoltare ore ed ore vacui discorsi di ogni sorta di specie viventi che ci capita di incontrare, qua e là, nelle varie metropoli-savane, durante l'eterno corso delle nostre continue migrazioni. Senza radici alcune, punti fermi, ci spostiamo di continuo da una parte all'altra di questo strano mondo, sempre alla ricerca, con il cuore colmo di malinconia per quel luogo che abbiamo appena lasciato ma con lo sguardo vivo di chi sta per scoprire un nuovo esaltante orizzonte. Eppure qui, per la prima volta mi sento a casa: la carta da parati Scalamandré che ricopre le quattro mura di questa nostra abitazione virtuale, è per me il più grande degli omaggi. Quando poi si parla di Zoologia Fantastica è impossibile tirarsi indietro.
E' passato poi molto tempo da quando in una misteriosa enciclopedia cinese (menzionata nell'introduzione del Manuale di Zoologia Fantastica di Borges) qualcuno cercò di fare un'approssimativa classificazione di noi specie fantastiche. "In quelle remote pagine è scritto che gli animali si dividono in a) appartenenti all'Imperatore, b) imbalsamati, c) ammaestrati, d) lattonzoli, e) sirene, f) favolosi, g) cani randagi, h) inclusi in questa classificazione, i) che s'agitano come pazzi, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, l) eccetera, m) che hanno rotto il vaso, n) che da lontano sembrano mosche."
Nonostante io apprezzi sinceramente questo divertente tentativo umano di provare a riconoscerci, schedarci e raccontarci, penso sia arrivato il momento di apportare qualche importante precisazione a questa magica lista, ormai un pò superata. C'è da dire che se sì -è vero- in passato siamo appartenuti all'Imperatore, ci agitavamo come cani per un nonnulla, rompendo un'infinità di vasi, eccetera, ci divertivamo a farci ammaestrare, ritrarre con un pennello finissimo di cammello, oggi tutto è decisamente cambiato. Per prima cosa nella savana contemporanea -come è facile notare- Zebre (a pois) e Leoni sono diventati finalmente buoni amici. Basta con gli agguati e le persecuzioni, con tutta quella violenza gratuita, basta con gli scherzi, con le stupide corse a perdi fiato, con quelle brutali e vecchie maniere di predominare sull'altro! Oggi Zebre (a pois) e Leoni sono una grande famiglia felice che usa lo stesso potenziale magico per affrontare ogni nuovo giorno.
Una cosa però è rimasta invariata: la lotta alla sopravvivenza. E anche se non riconosciamo più nei vecchi predatori il nostro nemico, continuiamo a fare quello che dalla notte dei tempi ci ha sempre caratterizzate. Essere Zebre significa prima di tutto scappare. E più sei brava a scappare, più il tuo manto si ricoprirà di pois e allora sarai libera, libera di scappare sempre più lontano. Una volta che i pois cominceranno ad apparire, scoprirai che in fondo nulla è cambiato. Perché sempre di lotta alla sopravvivenza si tratta. Continuerai ad avere lo stesso chiodo fisso, a tenerti lontano dal pericolo e ad evitare con tutte le tue forze il Nuovo Predatore. Con una sola differenza che sarà più difficile perché ad oggi il Mostro si è fatto più letale, allarmante e disgustoso che mai. Assume le forme più svariate e sembra aver conquistato molti angoli di questo pianeta. Ma nessuno come noi Zebre sa riconoscere il Nemico: ha il volto della noia, lo sguardo vuoto della banalità, il tanfo nauseabondo dello squallore, dell'assenza di bellezza, l'eco della mediocrità. Da questo, sempre, ovunque e comunque bisogna sapere scappare a gambe levate. Per noi questa è l'arte suprema poiché ci nutriamo di sola magia e dobbiamo preservarci. Nella nostra lotta alla sopravvivenza stiamo imparando a sfuggire da quel contatto con un manto che non sia raffinato e fantasioso come il nostro. D'altronde, nel corso della storia, questi pois ce li siamo sudati! Adesso siamo determinate a guardare il mondo attraverso il nostro filtro.
Undicesimo compleanno di Margot, omaggio a noi Zebre.
Come togliere il calcare dal soffione?! Sunday Bloody Sunday
Ecco siamo già al punto che uno si permette a dare un cosiglio ai casalingui con i problemi che davvero differenziano noi occidentati-li o come gia ci si chiama (addomesticati perchè poi io occidentale...mah) da un abbitante delle bidonville dove acqua calcarea scarseggia.
Il Soffione della doccia!
Si chiama soffione della doccia quella mascherina dell'erogatore della doccia, o nel mio caso a mo di cornetta telefonica (come erano belle quelle di bachelite?!? lo so, era scomodo girare i numeri uno ad uno, per non parlare dopo aver appena messo lo smalto. Sentivo spesso imprecare mia sorella di nome Dolcezza - di nome in quel caso e non di fatto!) finemente traforata in modo da suddividere il getto in tanti zampilli che poi creano il getto piacevole che ti da quella meravigliosa sensazione di benessere e ti fa sentire più fortunato di un Rothschild!
Ma spesso questi zampilli vanno ognuno per la propria strada, il motivo è il calcare. ehhhhh hai scoperto acqua calda Leone! no affatto, e che Micaela, quel angelo che ogni tanto si addentra nel mio loculo cercando di destreggiarsi tra un disordine assoluto (ripeto, ASSOLUTO!) non si avvicina mai alla cornetta della doccia! Lei mi compera i prodotti, Vical con Acetto (ultimo acquisto), spugnette colorate, le lascia li come per dire: so cose da maschi!!
E va bene allora oggi dopo aver innutilmente cercato di lavarmi allagando il mio bagno color ultima-dimora-di-Tutankhamon, ho detto, staccati un'attimo da Sunday Bloody Sunday (la scena finale, con Peter Finch, che tra poco andro a vedere. Da domenica uggiosa, magari qualche lacrimuccia per le pene mai provate ma solamente immaginate, cmq ci sta. perchè poi lo sguardo è più intenso e fa bene ai canali lacrimali) e affronta sta maledetta doccia da uomo!
passo 1: abbondantemente annaffiare la cornetta staccata dal resto della doccia con Viacal Acetto
la mia fortuna è che Micaela ed io indossiamo i guanti della stessa misura. Mi complimento sempre con lei per le sue lunghe dita affussolate e lei poi mi dice che le ha ereditate dalla nonna che suonava il violino a Timisoara, e poi ci sediamo e ricordiamo bei tempi andati...ed ecco che poi la doccia ovviamente tocca a me!
Ma cari animaletti della savana (!?! va bhe lasciatmi dire sta stronzzata che fa tanto telerpomozione!), Viacal Aceto non basta! qui bisogna ingegnarsi: nonostante litri di questo velenoso prodotto i poretti rimangono ostruiti! ma calcare è ancora morbido! quindi...
Eccola Zebra ha aperto gli occhi (Bungiorno cara!!! e mi scrive via whatsapp: "ahahahahahah!! Quindi anche oggi ti sei svegliato all'alba?!" eh si qui qlc deve pur tenere in piedi sta creatura mentre le Zebre e le Scimmmie Du Barry folleggiano nella capitale!)
passo 2: Un ago! pazientemente, con molta dolcezza affrontate i pori ostruiti ed ecco che si potrà riprende la vita con le norme igeniche quasi regolari.
Ora torno da Peter, ed ecco, che la domenica riprende il suo corso
Il Soffione della doccia!
Si chiama soffione della doccia quella mascherina dell'erogatore della doccia, o nel mio caso a mo di cornetta telefonica (come erano belle quelle di bachelite?!? lo so, era scomodo girare i numeri uno ad uno, per non parlare dopo aver appena messo lo smalto. Sentivo spesso imprecare mia sorella di nome Dolcezza - di nome in quel caso e non di fatto!) finemente traforata in modo da suddividere il getto in tanti zampilli che poi creano il getto piacevole che ti da quella meravigliosa sensazione di benessere e ti fa sentire più fortunato di un Rothschild!
Ma spesso questi zampilli vanno ognuno per la propria strada, il motivo è il calcare. ehhhhh hai scoperto acqua calda Leone! no affatto, e che Micaela, quel angelo che ogni tanto si addentra nel mio loculo cercando di destreggiarsi tra un disordine assoluto (ripeto, ASSOLUTO!) non si avvicina mai alla cornetta della doccia! Lei mi compera i prodotti, Vical con Acetto (ultimo acquisto), spugnette colorate, le lascia li come per dire: so cose da maschi!!
E va bene allora oggi dopo aver innutilmente cercato di lavarmi allagando il mio bagno color ultima-dimora-di-Tutankhamon, ho detto, staccati un'attimo da Sunday Bloody Sunday (la scena finale, con Peter Finch, che tra poco andro a vedere. Da domenica uggiosa, magari qualche lacrimuccia per le pene mai provate ma solamente immaginate, cmq ci sta. perchè poi lo sguardo è più intenso e fa bene ai canali lacrimali) e affronta sta maledetta doccia da uomo!
passo 1: abbondantemente annaffiare la cornetta staccata dal resto della doccia con Viacal Acetto
la mia fortuna è che Micaela ed io indossiamo i guanti della stessa misura. Mi complimento sempre con lei per le sue lunghe dita affussolate e lei poi mi dice che le ha ereditate dalla nonna che suonava il violino a Timisoara, e poi ci sediamo e ricordiamo bei tempi andati...ed ecco che poi la doccia ovviamente tocca a me!
Ma cari animaletti della savana (!?! va bhe lasciatmi dire sta stronzzata che fa tanto telerpomozione!), Viacal Aceto non basta! qui bisogna ingegnarsi: nonostante litri di questo velenoso prodotto i poretti rimangono ostruiti! ma calcare è ancora morbido! quindi...
Eccola Zebra ha aperto gli occhi (Bungiorno cara!!! e mi scrive via whatsapp: "ahahahahahah!! Quindi anche oggi ti sei svegliato all'alba?!" eh si qui qlc deve pur tenere in piedi sta creatura mentre le Zebre e le Scimmmie Du Barry folleggiano nella capitale!)
passo 2: Un ago! pazientemente, con molta dolcezza affrontate i pori ostruiti ed ecco che si potrà riprende la vita con le norme igeniche quasi regolari.
Ora torno da Peter, ed ecco, che la domenica riprende il suo corso
Da Jacobs a Lavazza
Zebre e Leoni
in un circo come questo ci stanno bene. La tua perplessità, inizialmente da me
condivisa sul rimmanere solo Zebre e Leoni, anonimi abitanti della savana, ma
poi immediatamente smentita
portando alla luce I nostri connotati è indicativa quanto più che mai le parole
di Anaïs Nin, questa mattina, siano attuali. Egoisticamente Questa Mattina,
perchè lo sono state anche nel 1964 : “We believe we are in touch with a
greater amount of people… This is the illusion which might cheat us of being in
touch deeply with the one breathing next to us.”
Causa la mia
sciatica peggiorata dalle ore passate sull’aereo, i signori della Lufthansa
erano così gentili e avevano assecondato, anche questa volta, tutti i miei
schiribizzi: la vettura di cortesia elettrica mi attendeva già allo sbarco
dell’aeroporto di Monaco di Baviera per poi scaricarmi proprio davanti alla mia
tanto bramata “pausa caffè”, sede distaccata del Dalmmeyr che cercava
goffamente di ricreare quell’atmosfera bavarese dello storico locale cittadino.
Miscela profumate di “Antigua
Tarrazu”, chicchi di caffe coltivati sugli altipiani blu delle piantagioni del
Guatemala e del Costa Rica, “fumata” nel box tossici con le facce gialle o
grige o verdi dei addicted dopo I lunghi voli intercontinentali. Una telefonata
all’amico del collegio in nome dei tempi passati per ricordare come si
balordava allora per lo Schwabing. Lui, Werner, era prodotto un pò come il
caffe che stavo sorssegiando, di una rara selezione genetica dei Land tedeschi.
Ad una festa che ricordammo in quella occasione e che doveva far riviver gli
anni d’oro della germania inizi secolo scorso: devi immaginarti cara Zebra un
palcoscenico a ciambella, luce buia, melodie alla Marlene Dietrich (o forse
erano proprio le sue) e abiti postribolari femminili. Nella penombra iniziale
si notano le parrucche bionde sotto le bombette nere,
labbra ed occhi truccati, guaperies e mutandine bianche, calze e reggicalze
nere,tacchi a spillo. Un malcapitato avrebbe fatto fatica ad intenderne il
significato. Ma poi, una volta abbituato le sue cornee alla luce e al fumo
(ahhh anni quando con una mano reggevi la bionda e fumavi anche sopra I vasi a
parete nei bagni dei signori mentre con l’altra cercavi di centrare…bhe si
insomma non sono cose da raccontare ad una signora Zebra) si sarebbe accorto
che i seni fuori dale guaperies sono maschili e così le braccia e le spalle,
robuste, le gambe, muscolose, tutto apparteneva a giovani corpi maschili.
Secodno Werner, Rudolf, e altri organizzatori di quella serata a tema, dovevano
rappresentare le anime dei "nuovi" (di allora), anime pervertite che
hanno permesso l'instaurazione del regime totalitario fondato sull'odio. La
disintegrazione delle famiglie piu potenti del reame sfruttando la sete di
potere dei suoi membri. La frase: "Gli Hessenback producono cannoni e
figli con lo stesso sentimento, e con lo stesso sentimento li sotterrano"
rendeva bene l'idea. Eh già ma di
fatto Visconti queste cose le aveva già filmate. Di nuovo sul bollide direzione Gate XX, il volo per Torino.
L’accostamento
del giallo al grigio trovo sia ben riuscito. Non tanto tempo fa davanti ad una
giubba da montagna fatta delle stesse tonalità di questi due colori feci un
apprezzamento apparentemente poco gentile: “sembri una poltrona della
Lufthansa!”
In verita le ho
sempre trovato stilosissime: rigore nordico accopiato alla “vivacità tedesca”,
senza quei colori-non-colori così sfacciatamente scandinavi.
Una tazza di
caffe (Jacobs, se ricordo bene, miscela verde così cara alla mia memoria infantile) e una
apfelschorle (con la quale non bisogna esagerare sopratutto se non si è
regolari con le evacuazioni). Quindi siamo ancora solo a quota 3 (se calcoli la
brodaglia propostami all’aeroporto di partenza, a Kopenhagen). Velocemente mi
riaproprio dei miei averi dal rullo dei bagagli (sono piccoli ma importanti
pregi degli aeroporti di provincia cara Zebra!) e via dritti a … San Tommaso
10!
Casa. Eh già. Dirai tu ma è il tuo bar di “partenza” di ogni giornata?!
Proprio così. Perchè non anche di arrivo una volta tanto. Il sorriso di Daniela
(che poi non c’è più e questo non me lo facci andare giù, perchè
insistentemente faccio la domanda fingendo la distrazione: Ma Daniela, fa il
turno pomeridiano?! Ah non c’è più…ma pensi…), entrare e non dover dire nulla
ma solamente sorridere, essere contracambiato da una tazza take away fumante di
ottima miscela Lavazza (doppio macchiato – freddo dal mese di maggio fino ai
primi di ottobre, caldo per il resto dell’anno) e poi svignarmlea salutando con
la mano libera dopo aver lasciato 3 rubli e mentre sto terminando di masticare
mio cornetto alla crema e intraprendere il solito percorso
(cmq la lettera
del CEO di Appel ci voleva per scusarsi per ste mappe malfunzionanti! Per farti il tragitto qui fotografato ho lotatto ben
15 min e alla fine mi fa passare per via XX Settembre che a quell ora del
mattino non farei manco fossi matto da legare! mai! c’è troppo traffico è sarebbe in contromano! Bhe si, anche andando a piedi)
Il tutto
accendendo la prima sigaretta della giornata con la voracita di un animale in
fuga: una buona Marlboro light di contrabando serbo, pachetto morbido perchè
quando sono ciancicate sono più gustose!
Ecco come vedi
Zebra cara, la Anaïs aveva ragione. (la traduco maldestramente) “Il segreto di una vita piena è quello di
vivere e relazionarsi con gli altri come se non dovrebbe esserci un domani,
come se si potrebbe non esserci domani. Eliminare quell odioso vizio della
procrastinazione, il peccato di rinvio, la mancata comunicazione, o le non
riuscite “comunioni”." Solo in queste righe ho attraversato l’Europa e manco un
incontro degno di un nome proprio!? Mi fa paura, questo.
Ed ora, scrivendoci tra
noi, tra gli animali della savana, che poi leggeranno “loro” (?!), con parole
prese in prestito dalla lingua degli umani (a me poi non sempre ben riuscirà,
in quanto…ma chi si ricorda più quale sia la mia L1, mio idioma madre/padre!?),
sorsseggiando nel mentre un buon caffè (certo ho ommesso Illy, ma quello è
un’altra storia legata alla mia amatissima Trieste) perchè noi, I sarajevesi,
risolvevamo tutto davanti ad una tazzina di ottimo caffè turco seduti a
Bascarsija, nel cuore della City antica fondata da un Bey mille anni or sono.
Ultimo, quello
buono l'ho sorseggiai con la mia matriarca nel lontano 1993. Solamente un suo occhio
lacrimava mentre mi abbracciava. Le guance erano morbidi. Alora presi il suo
viso tra le mani, “che mani grandi che ho!? “– pensai in quell istante. O è il
suo cranio che si stava restringendo come le teste dei viniti dalle tribù
dell’amazionia? I vinti da quello che sarebbe arrivato poco dopo il caffè. La guardavo
con gli occhi vitrei e premevo i polpastrelli così forte che sentivo
scricchiolare le giunture del teschio. Lei piangeva. Io no. Mio padre forse, ma
per cosa poi mi chiedevo?, allora. Il suo occhio ballerino aumentava il ritmo e
spruzzava le sue lacrime salati sulle mia labra che sapevano di quella miscela arabica. Saranno state due o tre, come
le gocce di una qualche pozione alchimica, perché una volta assaporate e
ingoiate entrai in sintonia con il circondario. Per la prima e l'ultima volta. Perché i neonati non vengano placati con le lacrime
delle madri?
Finimmo il caffè e ogniuno intraprese un suo cammino. Era un buon
Jacobs, miscela verde, preparato a la turca.
sabato 29 settembre 2012
Buongiorno Zebra!
Buongiorno Zebra!
Ho pensato che svegliarti con il nostro
primo post potrebbe essere un buon inizio della giornata. Perchè Zebre e Leoni?
Bisognava prendere una decisione velocemente, i tempi della Rete non ti
permettono di avere dei dubbi, al meno non per dei lunghi archi del tempo
(aggiorna,re-upload,refresh...stavo per prendere lo xanax 0.50 tanta era
l'ansia di partorire (?) qualcosa di sbagliata ma poi...), ecco allora che per
una qualche strana ragione Zebre e Leoni ha avuto senso. E poi le zebre sono
cavalli dalla testa pesante (lo dice la treccani!) e a volte ci lamentiamo di
averla pesante. la Testa intendo.
Mentra la scorsa settimana perlustravo
lagune friulane ho incontrato dei splendidi esemplari bianchi. Il sole era
forte, l'aria frizzante, la barca scivolava lungo i canali mentre la loro
immagine si assopiva insieme a...mi sono addormentato e ho sognato!
Il percorso, quel solito percorso verso
Arnold Strasse poteva riservare qualche sorpresa: Un cavallo uscendo dal
maneggio dei W. si impennò davanti ai Quatro Cerchi della carozza del marito di
Dolcezza. Le automibili di fattura tedesca si sanno diffendere bene dagli
zoccoli di un mezzo sangue.
La sterzata – battito della palpebra – lo
stivale nella briglia.
Il viale della casa di Dolcezza. Solo Arman
era girato per vedere ancora il “pferde” che riprendeva la camminata
pomeridiana con l’amazzone spettinata.
“Islam, accosta, per favore!”
“Stanno bene signor Wolfgang, succede
spesso, lei non è mai caduta da quel diavolo che manco le fiamme di Jahannam
potrebbero brucciare”
“Nonno in Slavonija tu hai un cavallo?”
“Si sarà fatto male? Non riesco a girarmi,
Dimitri cosa vedi? Qualcuno vuole farmare questa dannata macchina per favore?”
ansimavano le corde vocali di mio padre. Islam frena.
Wolfgang apre la porta, scende.
Stavano imboccando il sentiero verso lo
Zoo, idifferenti. Il Diavolo di Jahannam trottava seminando lo sterco.
“Si l’usignolo del nonno,” distrattamente
rispondeva Wolfgang risalendo in macchina. Lui risponde sempre, anche se in
ritardo, non lascia mai un punto interrogativo nel cervelletto di un bambino
”ne avevamo molti.”
Lo sguardo che lo specchietto retrovisore
mi offriva era di un padre stralunato, dalla memoria, quella recente. Sara
buona al meno la sua? Avrebbe voluto chiamarla, o forse correre verso di lei,
ma poi… come parlarle? Lui non conosceva la lingua dell’amazzone nonostante
porti il nome del suo imperatore e il suo piccolo interprete non era ancora
pronto linguisticamente.
“Belli, bianchi con un collo forte. Ora… “
stava per abbandonarlo di nuovo, per un’attimo, suo unico nipote maschio con il
nome persiano
“spero stiano bene Dimitri, entrambi, il
cavallo aveva una gamba... Ma perché non.. Mah.”
”… saranno già sulla strada verso lo Zoo o
da qualche altra parte, sempre se questo incontro non ha procurato dei dani
importanti al puledro.”
“Da noi non c'è più tanto spazio e poi sai
come è la nonna,” riprese “li
metteva in lavatrice tutti i giorni e a loro non piace lavarsi così tanto. Un
po’ come a te. Per cui sono fuggiti nel bosco.
Ma quando verrai, andremmo a trovarli. E
potrai montare il re!”
E mentra la corda riprese il suo vibrare
lineare, con le mani, una volta affusolate e curate ora contratte e gonfie dal
freddo delle prigioni balcaniche, prese il viso del piccolo figliare di una
apolide dal nome altisonante per portarlo verso le labra che non sappevano più
di sigaretta. Wolfgang ha smesso di fumare da due anni e non riconsco più il
suo odore quando mi abbraccia.
Mio nipote sta appena creando la sua
memoria olfattiva restituendo al nonno il bacio sulla guancia calata.
“ Hai detto al nonno che papi ti porta
spesso a vedere i pferden dai W.?” L’idioma di Islam, marito di Dolcezza è un "slavo"
da gesterbeiter con i prestiti di lusso più assurdi che una qualsiasi lingua
avrebbe potuto contrarre. Svelava così spudoratamente il suo passato, povero di
stimoli che irritava i miei succhi gastrici “Ma lui ha paura ad avvicinarli
signor Wolfgang. Solo attraverso lo steccato, a volte allunga la mano per
dargli uno zuccherino”
“Credo che la sterzata mi ha fatto venire
la nausea Islam. Come si apre il finestrino? Ho bisogno di aria” Devo uscire da
qui o rischio il contagio. Banalità è resistente agli antibiotici di tutte le
generazioni.
“Nessun Šubić ha mai avuto paura dei
cavalli Arman, perché sono la nostra linfa vitale. Tua madre e tuo zio, quando
avevano la tua età si addormentavano nelle stalle accanto ai puledri appena
nati. Ti ricordi Dimitri?! La ciccatrice che la Dolcezza ha sulla fronte, a
forma di scudo di davide, è il risultato di una di quelle notti. Che spavento
che ci avete fatto prendere.”
Banalità vs Memoria
Blanka non parla. Le matriarche mentre in
movimento spesso sognano ad occhi aperti.
“Dolcezza non vuole che lui vada vicino,
dice che poi si sporca e che i vestiti dopo puzzano per dei giorni... La vostra
figlia non è più la stessa, signor Wolfgang.”
Blanka non parla. Le matriarche sono
contrarie alla realtà che li predispone Islam. Loro guardano fuori dal
finestrino.
Tutti i finesettimana passati a Le Betulle
nei quali il tempo smetteva di gocciolare, Wolfgang ed io terminavmo con il
battezzimo come quello che veniva infierito ai bogumili: una volta superato il
ponte ottomano di Sarajevo le luci della città iniziavano a rubarci le stelle.
La radio cominciava a prendere benissimo e il nostro maggiolone veniva
inghiottito dalle vetture con l’aria confezionata. Inbocato il viale dei
ippocastani smettevamo di parlare e comincivamo a sentire il nostro odore da
campagnoli innoportuno. A volte incrociavamo la Dolcezza sul vialetto di casa
che ci salutava con un sorriso profumato mentre saliva in macchina di un
qualche giovane corteggiatore intenta ad offire alla città una delle ultime
creazione di uno stilista parigino o veneziano. Allora noi suonavamo il clacson
con esuberanza adolescenziale, inorgogliti dal legame di sangue che ci univa ad
una delle più belle donne della penisola. Mia sorella. Sua figlia.
L’altra, ritiratasi dai palcoscenici come
la sua matriarca mezzo secolo oramai, perché così va fatto altrimenti si
risualta ridicoli agli occhi della gente, perché si sa: la gente è gente, e la
gente giudica, ci attendeva seduta sul divano intenta a seguire uno dei suoi
film da domenica pomeriggio. Una volta attraversati la porta, si alzava per
affacciarsi sul lungo corridoio coperto di tapeti bucharà buttati a caso, o al
meno così doveva sembrare e con lo sguardo inquisitore ci accogleva indicandoci
la direzione della stanza da bagno. A volte ci veniva concesso il privilegio di
raggiungere le nostre stanze per toglierci i vestiti che odoravano di fieno e
rugiada e forse di sterco delle mucche a volte, specialemnte se era il periodo
quando si spargeva il concime, per poi correre nudi come i neonati appena
sgusciati dal utero sanguinante verso la vasca dove ci alternavamo: prima io e
poi Wolfgang. Ridevamo sguaiati mio padre ed io mentre facevamo il riepilogo
delle giornate passate a Le Bettule, il paradiso di noi uomini dove l’uniche
femmine amesse erano le galline solamente perché faccevano le uova e le dee
della mitologia greca e romana in quanto neccessarie ai racconti che uscivano
dalla sua bocca mescolandosi con il fumo della sigaretta.
Mio padre non sapeva più di fumo, non sapeva più di cavalli che scappati
per non essere lavati quotidianamenti in lavatrice hanno portato via anche la
nostra vitalità. Mia sorella ha limato la stella di davide che portava sulla
fronte e mio nipote non odorera mai di fieno perché soffre di allergie alle
graminacee.
Credi che possa andare bene Zebre e Leoni?
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