sabato 29 settembre 2012

Buongiorno Zebra!


Buongiorno Zebra!

Ho pensato che svegliarti con il nostro primo post potrebbe essere un buon inizio della giornata. Perchè Zebre e Leoni? Bisognava prendere una decisione velocemente, i tempi della Rete non ti permettono di avere dei dubbi, al meno non per dei lunghi archi del tempo (aggiorna,re-upload,refresh...stavo per prendere lo xanax 0.50 tanta era l'ansia di partorire (?) qualcosa di sbagliata ma poi...), ecco allora che per una qualche strana ragione Zebre e Leoni ha avuto senso. E poi le zebre sono cavalli dalla testa pesante (lo dice la treccani!) e a volte ci lamentiamo di averla pesante. la Testa intendo.

Mentra la scorsa settimana perlustravo lagune friulane ho incontrato dei splendidi esemplari bianchi. Il sole era forte, l'aria frizzante, la barca scivolava lungo i canali mentre la loro immagine si assopiva insieme a...mi sono addormentato e ho sognato!

Il percorso, quel solito percorso verso Arnold Strasse poteva riservare qualche sorpresa: Un cavallo uscendo dal maneggio dei W. si impennò davanti ai Quatro Cerchi della carozza del marito di Dolcezza. Le automibili di fattura tedesca si sanno diffendere bene dagli zoccoli di un mezzo sangue.

La sterzata – battito della palpebra – lo stivale nella briglia.

Il viale della casa di Dolcezza. Solo Arman era girato per vedere ancora il “pferde” che riprendeva la camminata pomeridiana con l’amazzone spettinata.

“Islam, accosta, per favore!”

“Stanno bene signor Wolfgang, succede spesso, lei non è mai caduta da quel diavolo che manco le fiamme di Jahannam potrebbero brucciare”

“Nonno in Slavonija tu hai un cavallo?”

“Si sarà fatto male? Non riesco a girarmi, Dimitri cosa vedi? Qualcuno vuole farmare questa dannata macchina per favore?” ansimavano le corde vocali di mio padre. Islam frena.

Wolfgang apre la porta, scende.

Stavano imboccando il sentiero verso lo Zoo, idifferenti. Il Diavolo di Jahannam trottava seminando lo sterco.

“Si l’usignolo del nonno,” distrattamente rispondeva Wolfgang risalendo in macchina. Lui risponde sempre, anche se in ritardo, non lascia mai un punto interrogativo nel cervelletto di un bambino ”ne avevamo molti.”

Lo sguardo che lo specchietto retrovisore mi offriva era di un padre stralunato, dalla memoria, quella recente. Sara buona al meno la sua? Avrebbe voluto chiamarla, o forse correre verso di lei, ma poi… come parlarle? Lui non conosceva la lingua dell’amazzone nonostante porti il nome del suo imperatore e il suo piccolo interprete non era ancora pronto linguisticamente. 

“Belli, bianchi con un collo forte. Ora… “ stava per abbandonarlo di nuovo, per un’attimo, suo unico nipote maschio con il nome persiano

“spero stiano bene Dimitri, entrambi, il cavallo aveva una gamba... Ma perché non.. Mah.”

”… saranno già sulla strada verso lo Zoo o da qualche altra parte, sempre se questo incontro non ha procurato dei dani importanti al puledro.”

“Da noi non c'è più tanto spazio e poi sai come è la nonna,” riprese  “li metteva in lavatrice tutti i giorni e a loro non piace lavarsi così tanto. Un po’ come a te. Per cui sono fuggiti nel bosco.

Ma quando verrai, andremmo a trovarli. E potrai montare il re!”

E mentra la corda riprese il suo vibrare lineare, con le mani, una volta affusolate e curate ora contratte e gonfie dal freddo delle prigioni balcaniche, prese il viso del piccolo figliare di una apolide dal nome altisonante per portarlo verso le labra che non sappevano più di sigaretta. Wolfgang ha smesso di fumare da due anni e non riconsco più il suo odore quando mi abbraccia.

Mio nipote sta appena creando la sua memoria olfattiva restituendo al nonno il bacio sulla guancia calata.

“ Hai detto al nonno che papi ti porta spesso a vedere i pferden dai W.?” L’idioma di Islam, marito di Dolcezza è un "slavo" da gesterbeiter con i prestiti di lusso più assurdi che una qualsiasi lingua avrebbe potuto contrarre. Svelava così spudoratamente il suo passato, povero di stimoli che irritava i miei succhi gastrici “Ma lui ha paura ad avvicinarli signor Wolfgang. Solo attraverso lo steccato, a volte allunga la mano per dargli uno zuccherino”

“Credo che la sterzata mi ha fatto venire la nausea Islam. Come si apre il finestrino? Ho bisogno di aria” Devo uscire da qui o rischio il contagio. Banalità è resistente agli antibiotici di tutte le generazioni.

“Nessun Šubić ha mai avuto paura dei cavalli Arman, perché sono la nostra linfa vitale. Tua madre e tuo zio, quando avevano la tua età si addormentavano nelle stalle accanto ai puledri appena nati. Ti ricordi Dimitri?! La ciccatrice che la Dolcezza ha sulla fronte, a forma di scudo di davide, è il risultato di una di quelle notti. Che spavento che ci avete fatto prendere.”
 
Banalità vs Memoria

Blanka non parla. Le matriarche mentre in movimento spesso sognano ad occhi aperti. 
“Dolcezza non vuole che lui vada vicino, dice che poi si sporca e che i vestiti dopo puzzano per dei giorni... La vostra figlia non è più la stessa, signor Wolfgang.”

Blanka non parla. Le matriarche sono contrarie alla realtà che li predispone Islam. Loro guardano fuori dal finestrino.

Tutti i finesettimana passati a Le Betulle nei quali il tempo smetteva di gocciolare, Wolfgang ed io terminavmo con il battezzimo come quello che veniva infierito ai bogumili: una volta superato il ponte ottomano di Sarajevo le luci della città iniziavano a rubarci le stelle. La radio cominciava a prendere benissimo e il nostro maggiolone veniva inghiottito dalle vetture con l’aria confezionata. Inbocato il viale dei ippocastani smettevamo di parlare e comincivamo a sentire il nostro odore da campagnoli innoportuno. A volte incrociavamo la Dolcezza sul vialetto di casa che ci salutava con un sorriso profumato mentre saliva in macchina di un qualche giovane corteggiatore intenta ad offire alla città una delle ultime creazione di uno stilista parigino o veneziano. Allora noi suonavamo il clacson con esuberanza adolescenziale, inorgogliti dal legame di sangue che ci univa ad una delle più belle donne della penisola. Mia sorella. Sua figlia.

L’altra, ritiratasi dai palcoscenici come la sua matriarca mezzo secolo oramai, perché così va fatto altrimenti si risualta ridicoli agli occhi della gente, perché si sa: la gente è gente, e la gente giudica, ci attendeva seduta sul divano intenta a seguire uno dei suoi film da domenica pomeriggio. Una volta attraversati la porta, si alzava per affacciarsi sul lungo corridoio coperto di tapeti bucharà buttati a caso, o al meno così doveva sembrare e con lo sguardo inquisitore ci accogleva indicandoci la direzione della stanza da bagno. A volte ci veniva concesso il privilegio di raggiungere le nostre stanze per toglierci i vestiti che odoravano di fieno e rugiada e forse di sterco delle mucche a volte, specialemnte se era il periodo quando si spargeva il concime, per poi correre nudi come i neonati appena sgusciati dal utero sanguinante verso la vasca dove ci alternavamo: prima io e poi Wolfgang. Ridevamo sguaiati mio padre ed io mentre facevamo il riepilogo delle giornate passate a Le Bettule, il paradiso di noi uomini dove l’uniche femmine amesse erano le galline solamente perché faccevano le uova e le dee della mitologia greca e romana in quanto neccessarie ai racconti che uscivano dalla sua bocca mescolandosi con il fumo della sigaretta.

Mio padre non sapeva più di fumo, non sapeva più di cavalli che scappati per non essere lavati quotidianamenti in lavatrice hanno portato via anche la nostra vitalità. Mia sorella ha limato la stella di davide che portava sulla fronte e mio nipote non odorera mai di fieno perché soffre di allergie alle graminacee.

Credi che possa andare bene Zebre e Leoni?








 

Nessun commento:

Posta un commento