Zebre e Leoni
in un circo come questo ci stanno bene. La tua perplessità, inizialmente da me
condivisa sul rimmanere solo Zebre e Leoni, anonimi abitanti della savana, ma
poi immediatamente smentita
portando alla luce I nostri connotati è indicativa quanto più che mai le parole
di Anaïs Nin, questa mattina, siano attuali. Egoisticamente Questa Mattina,
perchè lo sono state anche nel 1964 : “We believe we are in touch with a
greater amount of people… This is the illusion which might cheat us of being in
touch deeply with the one breathing next to us.”
Causa la mia
sciatica peggiorata dalle ore passate sull’aereo, i signori della Lufthansa
erano così gentili e avevano assecondato, anche questa volta, tutti i miei
schiribizzi: la vettura di cortesia elettrica mi attendeva già allo sbarco
dell’aeroporto di Monaco di Baviera per poi scaricarmi proprio davanti alla mia
tanto bramata “pausa caffè”, sede distaccata del Dalmmeyr che cercava
goffamente di ricreare quell’atmosfera bavarese dello storico locale cittadino.
Miscela profumate di “Antigua
Tarrazu”, chicchi di caffe coltivati sugli altipiani blu delle piantagioni del
Guatemala e del Costa Rica, “fumata” nel box tossici con le facce gialle o
grige o verdi dei addicted dopo I lunghi voli intercontinentali. Una telefonata
all’amico del collegio in nome dei tempi passati per ricordare come si
balordava allora per lo Schwabing. Lui, Werner, era prodotto un pò come il
caffe che stavo sorssegiando, di una rara selezione genetica dei Land tedeschi.
Ad una festa che ricordammo in quella occasione e che doveva far riviver gli
anni d’oro della germania inizi secolo scorso: devi immaginarti cara Zebra un
palcoscenico a ciambella, luce buia, melodie alla Marlene Dietrich (o forse
erano proprio le sue) e abiti postribolari femminili. Nella penombra iniziale
si notano le parrucche bionde sotto le bombette nere,
labbra ed occhi truccati, guaperies e mutandine bianche, calze e reggicalze
nere,tacchi a spillo. Un malcapitato avrebbe fatto fatica ad intenderne il
significato. Ma poi, una volta abbituato le sue cornee alla luce e al fumo
(ahhh anni quando con una mano reggevi la bionda e fumavi anche sopra I vasi a
parete nei bagni dei signori mentre con l’altra cercavi di centrare…bhe si
insomma non sono cose da raccontare ad una signora Zebra) si sarebbe accorto
che i seni fuori dale guaperies sono maschili e così le braccia e le spalle,
robuste, le gambe, muscolose, tutto apparteneva a giovani corpi maschili.
Secodno Werner, Rudolf, e altri organizzatori di quella serata a tema, dovevano
rappresentare le anime dei "nuovi" (di allora), anime pervertite che
hanno permesso l'instaurazione del regime totalitario fondato sull'odio. La
disintegrazione delle famiglie piu potenti del reame sfruttando la sete di
potere dei suoi membri. La frase: "Gli Hessenback producono cannoni e
figli con lo stesso sentimento, e con lo stesso sentimento li sotterrano"
rendeva bene l'idea. Eh già ma di
fatto Visconti queste cose le aveva già filmate. Di nuovo sul bollide direzione Gate XX, il volo per Torino.
L’accostamento
del giallo al grigio trovo sia ben riuscito. Non tanto tempo fa davanti ad una
giubba da montagna fatta delle stesse tonalità di questi due colori feci un
apprezzamento apparentemente poco gentile: “sembri una poltrona della
Lufthansa!”
In verita le ho
sempre trovato stilosissime: rigore nordico accopiato alla “vivacità tedesca”,
senza quei colori-non-colori così sfacciatamente scandinavi.
Una tazza di
caffe (Jacobs, se ricordo bene, miscela verde così cara alla mia memoria infantile) e una
apfelschorle (con la quale non bisogna esagerare sopratutto se non si è
regolari con le evacuazioni). Quindi siamo ancora solo a quota 3 (se calcoli la
brodaglia propostami all’aeroporto di partenza, a Kopenhagen). Velocemente mi
riaproprio dei miei averi dal rullo dei bagagli (sono piccoli ma importanti
pregi degli aeroporti di provincia cara Zebra!) e via dritti a … San Tommaso
10!
Casa. Eh già. Dirai tu ma è il tuo bar di “partenza” di ogni giornata?!
Proprio così. Perchè non anche di arrivo una volta tanto. Il sorriso di Daniela
(che poi non c’è più e questo non me lo facci andare giù, perchè
insistentemente faccio la domanda fingendo la distrazione: Ma Daniela, fa il
turno pomeridiano?! Ah non c’è più…ma pensi…), entrare e non dover dire nulla
ma solamente sorridere, essere contracambiato da una tazza take away fumante di
ottima miscela Lavazza (doppio macchiato – freddo dal mese di maggio fino ai
primi di ottobre, caldo per il resto dell’anno) e poi svignarmlea salutando con
la mano libera dopo aver lasciato 3 rubli e mentre sto terminando di masticare
mio cornetto alla crema e intraprendere il solito percorso
(cmq la lettera
del CEO di Appel ci voleva per scusarsi per ste mappe malfunzionanti! Per farti il tragitto qui fotografato ho lotatto ben
15 min e alla fine mi fa passare per via XX Settembre che a quell ora del
mattino non farei manco fossi matto da legare! mai! c’è troppo traffico è sarebbe in contromano! Bhe si, anche andando a piedi)
Il tutto
accendendo la prima sigaretta della giornata con la voracita di un animale in
fuga: una buona Marlboro light di contrabando serbo, pachetto morbido perchè
quando sono ciancicate sono più gustose!
Ecco come vedi
Zebra cara, la Anaïs aveva ragione. (la traduco maldestramente) “Il segreto di una vita piena è quello di
vivere e relazionarsi con gli altri come se non dovrebbe esserci un domani,
come se si potrebbe non esserci domani. Eliminare quell odioso vizio della
procrastinazione, il peccato di rinvio, la mancata comunicazione, o le non
riuscite “comunioni”." Solo in queste righe ho attraversato l’Europa e manco un
incontro degno di un nome proprio!? Mi fa paura, questo.
Ed ora, scrivendoci tra
noi, tra gli animali della savana, che poi leggeranno “loro” (?!), con parole
prese in prestito dalla lingua degli umani (a me poi non sempre ben riuscirà,
in quanto…ma chi si ricorda più quale sia la mia L1, mio idioma madre/padre!?),
sorsseggiando nel mentre un buon caffè (certo ho ommesso Illy, ma quello è
un’altra storia legata alla mia amatissima Trieste) perchè noi, I sarajevesi,
risolvevamo tutto davanti ad una tazzina di ottimo caffè turco seduti a
Bascarsija, nel cuore della City antica fondata da un Bey mille anni or sono.
Ultimo, quello
buono l'ho sorseggiai con la mia matriarca nel lontano 1993. Solamente un suo occhio
lacrimava mentre mi abbracciava. Le guance erano morbidi. Alora presi il suo
viso tra le mani, “che mani grandi che ho!? “– pensai in quell istante. O è il
suo cranio che si stava restringendo come le teste dei viniti dalle tribù
dell’amazionia? I vinti da quello che sarebbe arrivato poco dopo il caffè. La guardavo
con gli occhi vitrei e premevo i polpastrelli così forte che sentivo
scricchiolare le giunture del teschio. Lei piangeva. Io no. Mio padre forse, ma
per cosa poi mi chiedevo?, allora. Il suo occhio ballerino aumentava il ritmo e
spruzzava le sue lacrime salati sulle mia labra che sapevano di quella miscela arabica. Saranno state due o tre, come
le gocce di una qualche pozione alchimica, perché una volta assaporate e
ingoiate entrai in sintonia con il circondario. Per la prima e l'ultima volta. Perché i neonati non vengano placati con le lacrime
delle madri?
Finimmo il caffè e ogniuno intraprese un suo cammino. Era un buon
Jacobs, miscela verde, preparato a la turca.
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