domenica 30 settembre 2012

Da Jacobs a Lavazza

 


Zebre e Leoni in un circo come questo ci stanno bene. La tua perplessità, inizialmente da me condivisa sul rimmanere solo Zebre e Leoni, anonimi abitanti della savana, ma poi  immediatamente smentita portando alla luce I nostri connotati è indicativa quanto più che mai le parole di Anaïs Nin, questa mattina, siano attuali. Egoisticamente Questa Mattina, perchè lo sono state anche nel 1964 : “We believe we are in touch with a greater amount of people… This is the illusion which might cheat us of being in touch deeply with the one breathing next to us.”
Causa la mia sciatica peggiorata dalle ore passate sull’aereo, i signori della Lufthansa erano così gentili e avevano assecondato, anche questa volta, tutti i miei schiribizzi: la vettura di cortesia elettrica mi attendeva già allo sbarco dell’aeroporto di Monaco di Baviera per poi scaricarmi proprio davanti alla mia tanto bramata “pausa caffè”, sede distaccata del Dalmmeyr che cercava goffamente di ricreare quell’atmosfera bavarese dello storico locale cittadino. Miscela  profumate di “Antigua Tarrazu”, chicchi di caffe coltivati sugli altipiani blu delle piantagioni del Guatemala e del Costa Rica, “fumata” nel box tossici con le facce gialle o grige o verdi dei addicted dopo I lunghi voli intercontinentali. Una telefonata all’amico del collegio in nome dei tempi passati per ricordare come si balordava allora per lo Schwabing. Lui, Werner, era prodotto un pò come il caffe che stavo sorssegiando, di una rara selezione genetica dei Land tedeschi. Ad una festa che ricordammo in quella occasione e che doveva far riviver gli anni d’oro della germania inizi secolo scorso: devi immaginarti cara Zebra un palcoscenico a ciambella, luce buia, melodie alla Marlene Dietrich (o forse erano proprio le sue) e abiti postribolari femminili. Nella penombra iniziale si notano le parrucche bionde sotto le bombette nere, labbra ed occhi truccati, guaperies e mutandine bianche, calze e reggicalze nere,tacchi a spillo. Un malcapitato avrebbe fatto fatica ad intenderne il significato. Ma poi, una volta abbituato le sue cornee alla luce e al fumo (ahhh anni quando con una mano reggevi la bionda e fumavi anche sopra I vasi a parete nei bagni dei signori mentre con l’altra cercavi di centrare…bhe si insomma non sono cose da raccontare ad una signora Zebra) si sarebbe accorto che i seni fuori dale guaperies sono maschili e così le braccia e le spalle, robuste, le gambe, muscolose, tutto apparteneva a giovani corpi maschili. Secodno Werner, Rudolf, e altri organizzatori di quella serata a tema, dovevano rappresentare le anime dei "nuovi" (di allora), anime pervertite che hanno permesso l'instaurazione del regime totalitario fondato sull'odio. La disintegrazione delle famiglie piu potenti del reame sfruttando la sete di potere dei suoi membri. La frase: "Gli Hessenback producono cannoni e figli con lo stesso sentimento, e con lo stesso sentimento li sotterrano" rendeva bene l'idea.  Eh già ma di fatto Visconti queste cose le aveva già filmate.  Di nuovo sul bollide direzione Gate XX, il volo per Torino.
L’accostamento del giallo al grigio trovo sia ben riuscito. Non tanto tempo fa davanti ad una giubba da montagna fatta delle stesse tonalità di questi due colori feci un apprezzamento apparentemente poco gentile: “sembri una poltrona della Lufthansa!”
In verita le ho sempre trovato stilosissime: rigore nordico accopiato alla “vivacità tedesca”, senza quei colori-non-colori così sfacciatamente scandinavi.
Una tazza di caffe (Jacobs, se ricordo bene, miscela verde così cara alla mia memoria infantile) e una apfelschorle (con la quale non bisogna esagerare sopratutto se non si è regolari con le evacuazioni). Quindi siamo ancora solo a quota 3 (se calcoli la brodaglia propostami all’aeroporto di partenza, a Kopenhagen). Velocemente mi riaproprio dei miei averi dal rullo dei bagagli (sono piccoli ma importanti pregi degli aeroporti di provincia cara Zebra!) e via dritti a … San Tommaso 10! 

Casa. Eh già. Dirai tu ma è il tuo bar di “partenza” di ogni giornata?! Proprio così. Perchè non anche di arrivo una volta tanto. Il sorriso di Daniela (che poi non c’è più e questo non me lo facci andare giù, perchè insistentemente faccio la domanda fingendo la distrazione: Ma Daniela, fa il turno pomeridiano?! Ah non c’è più…ma pensi…), entrare e non dover dire nulla ma solamente sorridere, essere contracambiato da una tazza take away fumante di ottima miscela Lavazza (doppio macchiato – freddo dal mese di maggio fino ai primi di ottobre, caldo per il resto dell’anno) e poi svignarmlea salutando con la mano libera dopo aver lasciato 3 rubli e mentre sto terminando di masticare mio cornetto alla crema e intraprendere il solito percorso 



(cmq la lettera del CEO di Appel ci voleva per scusarsi per ste mappe malfunzionanti! Per farti il tragitto qui fotografato ho lotatto ben 15 min e alla fine mi fa passare per via XX Settembre che a quell ora del mattino non farei manco fossi matto da legare! mai! c’è troppo traffico è sarebbe in contromano! Bhe si, anche andando a piedi)

Il tutto accendendo la prima sigaretta della giornata con la voracita di un animale in fuga: una buona Marlboro light di contrabando serbo, pachetto morbido perchè quando sono ciancicate sono più gustose!
Ecco come vedi Zebra cara, la Anaïs aveva ragione. (la traduco maldestramente) “Il segreto di una vita piena è quello di vivere e relazionarsi con gli altri come se non dovrebbe esserci un domani, come se si potrebbe non esserci domani. Eliminare quell odioso vizio della procrastinazione, il peccato di rinvio, la mancata comunicazione, o le non riuscite “comunioni”." Solo in queste righe ho attraversato l’Europa e manco un incontro degno di un nome proprio!? Mi fa paura, questo. 
Ed ora, scrivendoci tra noi, tra gli animali della savana, che poi leggeranno “loro” (?!), con parole prese in prestito dalla lingua degli umani (a me poi non sempre ben riuscirà, in quanto…ma chi si ricorda più quale sia la mia L1, mio idioma madre/padre!?), sorsseggiando nel mentre un buon caffè (certo ho ommesso Illy, ma quello è un’altra storia legata alla mia amatissima Trieste) perchè noi, I sarajevesi, risolvevamo tutto davanti ad una tazzina di ottimo caffè turco seduti a Bascarsija, nel cuore della City antica fondata da un Bey mille anni or sono.
Ultimo, quello buono l'ho sorseggiai con la mia matriarca nel lontano 1993. Solamente un suo occhio lacrimava mentre mi abbracciava. Le guance erano morbidi. Alora presi il suo viso tra le mani, “che mani grandi che ho!? “– pensai in quell istante. O è il suo cranio che si stava restringendo come le teste dei viniti dalle tribù dell’amazionia? I vinti da quello che sarebbe arrivato poco dopo il caffè. La guardavo con gli occhi vitrei e premevo i polpastrelli così forte che sentivo scricchiolare le giunture del teschio. Lei piangeva. Io no. Mio padre forse, ma per cosa poi mi chiedevo?, allora. Il suo occhio ballerino aumentava il ritmo e spruzzava le sue lacrime salati sulle mia labra che sapevano di quella miscela arabica. Saranno state due o tre, come le gocce di una qualche pozione alchimica, perché una volta assaporate e ingoiate entrai in sintonia con il circondario. Per la prima e l'ultima volta. Perché i neonati non vengano placati con le lacrime delle madri? 
Finimmo il caffè e ogniuno intraprese un suo cammino. Era un buon Jacobs, miscela verde, preparato a la turca. 

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