venerdì 8 marzo 2013

Nel tempo, fuori dal tempo. Ovvero, Roma.

(Buon compleanno, Anna! E scusa il ritardo)


La faccenda non cambia, sono sempre e comunque in ritardo. Anche se ci metto l'anima, anche se mi impegno, se faccio tutto il necessario per organizzare le mie mosse, perfino se anticipo la sveglia di ore ed ore, anche se fino ad un istante prima avrei giurato di essere in tempo. Il fatto è che nell'arco di pochi attimi possono accadere cose inaspettate, piccoli avvenimenti da quattro soldi capaci di stravolgere ogni vano tentativo di puntualità. Cose davvero stupide come che so, una telefonata, una macchia dell'ultimo secondo sul vestito o  quell' indecisione che porta alla guerra di mille cambi d'abito, per ritornare poi al primo che avevi scelto o semplicemente una canzone che non si può fare a meno di ascoltare fino in fondo. Per arrivare puntuali bisognerebbe mettere a tacere i propri sensi, addirittura i pensieri o almeno girare muniti di paraocchi e  tappi nelle orecchie.

Ebbene, l'altra mattina, ero in anticipo su me stessa. Qualcosa, mi dicevo dandomi un'ultima occhiata allo specchio, qualcosa è davvero cambiato. Nessuna macchia sul vestito, nessuna telefonata sgradita, nessuna visione improvvisa di qualcosa che fosse in grado di trattenermi. Di solito, quando devo trascinarmi da qualche parte, ho sempre l'impressione di dover sradicare via una parte di me che è altrove e che brama di restare esattamente dov'è, impegnata a pensare che tanto non valga la pena di fare nulla. L'altra mattina però anche questo antico conflitto sembrava svanito ed io ero -al cento per cento di me- in anticipo di un'ora.
Immersa nel piacere di questa nuova sensazione, mi muovevo per la casa, raccogliendo le ultime cose da buttare in borsa: le chiavi per una volta facili da trovare, un pacchetto di sigarette stranamente pieno ed un libro che nonostante aggravi il peso da portare, rimane indispensabile, sempre, anche quando -come nel mio caso- si sta andando ad una sorta di colloquio di lavoro.
Uscire sprovvisti di un libro è come esporsi alle sciagure del mondo, lasciando nel cassetto un amuleto. Anche di sera, quando il buio rende la lettura fuori casa più complicata, perfino se l'abbigliamento stona e se la borsa si rimpicciolisce per adeguarsi alla notte, bisogna sempre, se non si vuole rischiare di annoiarsi, trovare posto per un libro, a costo di forzare le cuciture o di considerare le micro pochettes non abbastanza eleganti. 

Tornando all'altra mattina, stavo quasi per afferrare le chiavi della macchina quando improvvisamente mi dico no, eh no, non sarai così stupida da cadere in un errore simile! Ma quale macchina! Il traffico sul Lungotevere e la ricerca di parcheggio nei pressi del Colosseo avrebbero potuto mettere a serio rischio la miracolosa armonia della mia puntualità. Così perdo qualche secondo a riflettere sulla questione, ignorando i sensi di colpa per una spesa che avrei potuto evitare, giustificando a me stessa questa brutta abitudine, un virus contratto anni fa a New York e finalmente mi convinco. Afferro il telefono e chiamo un taxi. 
La voce metallica del 3570 (che non vi lascia mai soli) mi comunica che la macchina arriverà in tre minuti. Che fortuna penso, precipitandomi in ascensore, tutto fila liscio. Adesso basterà semplicemente accelerare il passo per evitare le inutili chiacchiere del portiere. Basterà tirare dritta e fare un saluto con la mano. Fuori sembrava essere spuntata la primavera. Dopo interminabili mesi di pioggia e di freddo, la luce si era decisa ad inondare ogni cosa e traditi da questa illusione, anche i fiori erano spuntati in una notte. Con il cappotto addosso faceva quasi caldo e proprio di fronte -dall'altra parte della strada- dei ragazzini usciti in anticipo da scuola se ne stavano seduti per terra, in maglietta, con le spalle appoggiate al muro e rivolti verso il sole, quasi fosse un profeta. 
Era davvero una mattinata speciale, non solo perché ero in anticipo, non solo perché la primavera si stava manifestando ma soprattutto perché mi era capitata un'opportunità, quella di iniziare a cimentarmi in un lavoro, che di questi tempi ho concluso essere l'unica cosa di cui davvero ho bisogno.
Come dicevo prima, basta pochissimo per perdere concentrazione. Nel mio caso era bastato il sole, quei ragazzi seduti per terra e qualche pensiero positivo ad attraversarmi la mente... Guardo l'orologio e mi accorgo che il tempo corre via: di minuti ne erano passati almeno il triplo di tre e ne mancano trentacinque al mio appuntamento. Senza esitare, richiamo il centralino e aspetto in attesa... Mi promettono un'altra macchina, questa volta in cinque minuti. Nel frattempo mi sfilo il cappotto e decido di tenere lo sguardo fisso sullo schermo del mio cellulare, per evitare di perdere di nuovo la cognizione del tempo. I cinque minuti scadono e allora comincio seriamente ad innervosirmi, quando vedo finalmente spuntare il taxi dal fondo della salita. Avanza lentamente, con i quattro finestrini abbassati -neanche fosse giugno- e si avvicina a me con aria quasi beffarda.

- Devo andare in centro, per favore, in via Labicana. Al numero 1.
- Ma in via Labicana dove, Signorì? 
- Al numero 1, è proprio all'inizio... Di fronte al Colosseo.
- Vabbé... Che faccio qui? Posso fa inversione? O è contro mano?
- E' doppio senso, può andare!
Mentre la macchina gira su stessa, esitando un pò e come per mettere le mani avanti aggiungo:
- Speriamo di arrivare in tempo. Sa, ho un appuntamento importante...

L'autista muto come  un pesce e sordo d' indifferenza si limita a non rispondermi ma sembra finalmente premere sull'acceleratore. Così sbattendo a destra e a sinistra cerco di tirare su i finestrini di dietro. Per un istante è stato come volare. Butto l'occhio di nuovo sul tempo che sfugge via e mi dico, bene, ho venti minuti, ce la faccio. Rassicurata, frugo nella borsa e aprendo il portafoglio mi accorgo di avere un'unica banconota da cento euro. Per scrupolo decido di avvertirlo in anticipo:
- Senta mi scusi, ho una banconota da cento. Ha il resto da cambiarmi?
Stupefatto, irritato e quasi inorridito si gira e mi fà:
- E no Signorì, nun ce l'ho no il resto! E che so 'na banca?!?!?!
- Allora mi scusi posso pagare con la carta?
- Con la che?!?!?!?
- Con la carta di credito!
- Ma quale carta Signorì! Gliel'ho già detto, nun so mica 'no sportello della banca io!
- Ok, ok, non si preoccupi. Allora facciamo così: si accosti al primo bar o alla prima edicola e mi li faccio cambiare.
- Se vabbé! AHAHAHAHAHAH! Ma chi glieli cambia a giorno d'oggi Signorì!
- Ma che dice, certo che me li cambiano. Non sono mica falsi!

Sempre più in ansia per il ritardo, non mi accorgo che aveva preso una deviazione. 
- Scusi ma dove sta andando?
- Allo sportello Signorì! Non m'ha detto che doveva da cambià sti sordi?
E si ferma davanti ad un bancomat. 
- No senta, mi scusi, forse non ci siamo capiti. Sono terribilmente in ritardo e ho un appuntamento importante. Non voglio prelevare altri soldi, voglio solo cambiare questi. Quindi per favore si rimetta subito sulla strada giusta -che di qui finiamo a Fregene- e si fermi al primo bar.
Ormai deciso a mandarmi tutto all'aria, si avvia a 20 all'ora e si ferma- cinque minuti dopo- al primo Caffé. Mi precipito fuori e lui mi urla dal finestrino:
- In bocca al lupo, Signorì!
In un lampo ero di ritorno con i soldi cambiati e una strana voglia di rivalsa mentre lui, con lo sguardo impunito, in maniche di camicia e con il braccio di fuori strillava:
- Allora com' è andata? L'hanno cambiati?
Imbarazzata dagli sguardi della gente che per strada si era girata a godersi la scena, mi lancio all'interno dell'auto, sbattendo la portiera.
- Certo che me li hanno cambiati! Che si aspettava?!
- Eh Signorì... Allora se vede che la conoscono. Sinnò mica che se fidavano!
- Ma che mi conoscono! Vada per favore che sono in ritardissimo!


Venti minuti dopo e ormai dieci minuti fuori tempo massimo, io e l'autista dei miei sogni varcavamo l'entrata del centro storico, dopo aver attraversato Villa Borghese nel suo totale splendore. Mi sentivo oltre la rabbia e se avessi potuto, l'avrei strozzato! Poi ad un tratto, mi è venuta in mente lei. 
Anna Magnani, con le sue volpi al collo e il suo bassotto che si chiamava Mavà, in quell' episodio di Siamo Donne che tanto amo, diretto da Luchino Visconti. Mi è arrivata dritta al cuore, con quei capelli da furia, quella sua risata che manca a Roma più del Papa e del governo, con la sua testardaggine, quella risposta sempre pronta e con quelle occhiaie, simbolo di una vanità autentica. 
In giornate come queste, in cui  la parola"cambiamento" sembra essere diventata la chiave per risolvere ogni cosa, è stato confortante perdere  qualche attimo in più di concentrazione per viaggiare indietro nel tempo -o meglio fuori dal tempo-  e venire catapultati in quella mattina di sole molto simile a questa, in quella Roma ammagliante che ancora si specchia nella sua eterna bellezza, nel ritratto di un autista di ieri che per nulla è diverso da un autista di oggi e ritrovarsi infine con i capelli arruffati e la voglia di urlare a chiunque ci ostacoli la strada: " Levate che me te magno!" Proprio come diceva la Magnani che oggi avrebbe compiuto 105 anni. 


Finalmente lo sguardo si schianta con la realtà. Il Colosseo in primo piano mi ricorda il ritardo e il tempo che vola via. Ancora qualche secondo per fare attraversare un'ondata di turisti che nuota nel sole. 
Poi finalmente, il traguardo.
- So 28 e 70, Signorì. Ammmmmazzate! Bello st'albergo! Che lei ce lavora?
Senza rispondere alla domanda, gli porgo trenta euro e in contraddizione con la mia rabbia gli dico:
- Tenga pure il resto.
- A presto Signorì, allora grazie eh! E in bocca al lupo per quel suo appuntamento...
Scatto all'interno dell'hotel con la sua voce che mi rincorre ancora -neanche fosse una fattura- e che non riesco più a scrollarmi  di dosso. Mi sistemo per un frazione di secondi e scopro che la persona che dovevo incontrare si scusa, ma è in ritardo. Così, salgo sulla terrazza, qualcuno mi porta un caffé. 
Nei restanti quaranta minuti di attesa, è stato il libro a salvarmi.










2 commenti: