lunedì 12 novembre 2012

Saudade








Non si sa niente di certe parole finché non si ha una vera e concreta opportunità di viverle. A nulla servono -in questi casi- definizioni e pesanti dizionari impolverati: ogni esempio risulterebbe inutile, ogni sinonimo sterile ed ogni tentativo di traduzione, addirittura ridicolo. Certe parole provengono da molto lontano, nascono libere e sfuggono come farfalle nell'aria ad ogni maldestro tentativo umano di acchiapparle, rinchiuderle in un ordine razionale, in una rete di sapienza che ignora l'anima. 
Saudade è la più colorata fra queste farfalle. Il suo volteggiare nell'aria ci apre gli occhi sul mondo che altrimenti non potremmo vedere. Sulle sue ali è poggiata la polvere magica del tempo e sono racchiuse tutte le sfumature delle emozioni umane. Triste e gioioso allo  stesso tempo, questo battito parla del passato ma  è qui, è ora, preme dentro di noi e come un'ombra cambia forma, storce il nostro tessuto interiore e proietta la nostra complessità, mentre avanziamo incerti -un passo dopo l'altro- verso orizzonti futuri.
Nella saudade non si nasconde soltanto la semplice scala del tempo e il suo incessante scorrere o divenire ma qualcosa di molto più prezioso: la forza di saper tradurre il proprio passato. Attraversare e vivere questa inafferrabile parola corrisponde ad intraprendere un viaggio verso quelle parti di noi lasciate in altri luoghi, in altri giorni, ormai perduti. Sperimentare i suoi tormenti significa essere in contatto con se stessi, con la propria identità ma soprattutto con l'umanità intera. Senza saudade non esisterebbero  né cultura né tradizione né narrazione . 
Certe parole sono la base di tutte le altre e forse della nascita del linguaggio stesso.  Rousseau, nel suo "Discour sur l'origine des langues" sosteneva questa romantica tesi: avremmo mai veramente sentito il bisogno di inventare un linguaggio se non fosse stato per l'amore? Forse era affetto anche lui da una forma di saudade acuta, mentre cercava le parole giuste per sostenere le origini di un amore universale tanto grande, da riuscire ad unire gli esseri umani tra loro e convincerli a fidarsi l'uno dell'altro. 
Da quando sono rientrata dal Brasile ho contratto anch'io lo stesso virus e per la prima volta nella vita mi sembra di riuscire a viverlo senza mezze misure, vale a dire senza perdermi in nessuna traduzione.
Cantata, innalzata, venerata la cultura brasiliana è saudade pura. Da sempre questa terra accoglie le nostalgia di chi l'ha raggiunta e successivamente lasciata. Gli africani, approdati come schiavi, per primi esportarono una forma di saudade così forte da uccidere. Poi fu la volta dei Portoghesi che alle spalle si lasciarono l'Europa, con un peso sul cuore. L'intero territorio fu contagiato ed i nativi stessi cominciarono a provare malinconia per quella terra ormai cambiata, invasa, colonizzata.
Come un' alchimia della perdita, questo sentimento accetta il passato, sceglie di avere fede nel futuro ma non rinuncia ad esprimere la propria voce. La saudade è un lamento, un urlo interiore che il Brasile ci insegna a cantare melodiosamente, con arte, ispirazione e riconoscendone il prezioso valore. 
In questo momento a New York è quasi l'alba e l'onda della saudade mi tiene sveglia. E' un ritmo interno che pulsa in armonia con eventi distanti, un' occasione rara per fermarmi e sentire di essere profondamente innamorata della vita. Saudade di quella città lasciata sotto il sole. Saudade di quei volti, di quei colori, di un amore mai svelato, di quel giorno che sei partito. Saudade che non si può spiegare e raccontare oltre. Solo la musica, forse, soltanto lei, ci può provare.












4 commenti:

  1. Bellissimo!............lindo demais!

    RispondiElimina
  2. Ti auguro di non guarirne mai...
    Grazie per aver condiviso con noi il canto del tuo cuore, la nostalgia che strozza la voce in pianto.
    Gaia

    RispondiElimina