martedì 2 ottobre 2012

Al terzo giorno mi si chiede il perché?

Ariel silver wings

Giocherò con i pezzi dei testi raccolti dalle fonti più varie: narrativa, manoscritti, sacre scritture, quotidiani, settimanali, portali, blog, video, foto, incontri, soste negli aeroporti, nelle stazioni, nei cessi, sulle panchine o alle feste, persino ai funerali rubero con la gentilezza a voi per poi sovrapporli alle mie annotazioni fatte sui quaderni, foglietti laceri che di per sè non averebbero alcun senso. Spero nel proseguire con questo modo poco ortodosso, perché di fatto seguo un filone ben preciso, nonostante questo mio intento apparisse poco chiaro dall’inizio - 48 ore e già c’è chi si domanda il perché?: grazie della considerazione, non la merito ma richiedeva certamente una altrettanto gentile risposta. Intendo partire dalla confusione per attraversare una quasi tranquillità di pensiero e finire, magari, con una discussione tra me e me, me e te, me e lei, che a tratti, sperò, possa apparire surreale e inverosimile. Non poterebbe essere altrimenti. Lasciare la propria terra è un destino mordace che diventa vitale solamente se la nuova terra ci accoglie e se riusciamo a sentire che in quella terra si apre almeno una porta, incondizionatamente e per sempre. Un individo adulto che non si è mai liberato della psicosi della “provvisorietà”, non teme il fatto di perdere stabilità ma piuttosto quella sensazione di sprofondare nella voragine di un errabondo senza fine. Userò a volte le parole degli altri perché noti per aver prodotto delle opere d’arte, ed io desidero poterle usare nel descrivere come “La terra da dove proveniamo, le persone che abbiamo lasciato, rimangono congelate nel ricordo e nel sentimento. Rimane fra le due terre uno spazio spettrale che possiamo percorrere, con la coscienza però, che quando partiamo, partiamo per sempre, perché anche se torniamo, chi ritorna è un altro e altra la terra che abbiamo lasciato”.  da Terra d’esilio di Luis Marsiglia

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