Sébastien Stoskopff, Grande Vanité |
E così il doppio album degli Smashing Pumpkins, quel segno indelebile lasciato negli ormai lontani e ruggenti anni novanta, il leggendario Mellon Collie And The Infinite Sadness sta per fare il suo ritorno nei negozi, per la prima volta in versione rimasterizzata. Io ci sarò ma non per necessità né tanto meno per collezionismo. Ci sarò per malinconia. Anzi per "melancolia" che, se per gli antichi era la "bile nera", nella mia personale "antichtà"- invece- è stato un mito, la cui nascita avvenne su un' automobile.
Ricordo, me la spiegava mio padre da bambina, quando accompagnandomi in aeroporto o in stazione per la partenza di qualche gita, mi vedeva guardare fuori dal finestrino, silenziosa, con lo sguardo perso, lontano e sempre mi chiedeva: "Cos'hai, non sei felice di partire? Se non vuoi andare, allora resta!"
Queste sue parole erano per me impossibili da contenere; qualcosa irrimediabilmente mi saliva da dentro, un'onda che finiva per trasformarsi in nodo alla gola ed infine in lacrime che versavo, senza capirne la ragione più profonda. Mi limitavo così a tirare fuori una sorta di risposta frustrante:"Ma no, sono felice di partire! Non so perché piango..."
Quello fu il momento in cui lui -guardando dritto verso l'orizzonte che faceva da sfondo alla strada- sospirò e creò il mito: "Eh.... la Malinconia... Ecco cos'hai! Hai preso da me. Io nella vita ne ho sempre sofferto."
Quello fu il momento in cui lui -guardando dritto verso l'orizzonte che faceva da sfondo alla strada- sospirò e creò il mito: "Eh.... la Malinconia... Ecco cos'hai! Hai preso da me. Io nella vita ne ho sempre sofferto."
Cos'era?Una malattia? E quanto sarebbe durata? Era grave? Contagiosa? Virale? Si poteva curare? E perché era toccata proprio a me? Che cosa avevo ereditato?
Non fu mai realmente in grado di darmi una definizione precisa del termine perché ogni volta che ne parlava in quei tragitti, veniva colto anche lui dal morbo. Ma a differenza mia, sembrava spassarsela! Gli uscivano fuori una quantità di ricordi sparsi, della sua infanzia, di quando era stato in collegio in Brasile e la sera guardava malinconico fuori dalla finestra, era dopo la guerra, era in un mondo nuovo per lui.
Facevo fatica a seguirlo ma quello che riusciva a trasmettermi alla fine, era uno stato di innamoramento. Mentre parlava, qualcosa nel suo timbro di voce si faceva entusiasmante e lo sguardo proiettava ombre tutt'intorno, creando un'atmosfera quasi luminosa, fatta di storie e posti lontani, remoti eppure così vivi, da assumere forme nella mia mente. Naturalmente le lacrime sparivano e scendendo dalla macchina, sentivo di portare via con me, qualcosa d'importante.
Non era più soltanto la mia inspiegabile tristezza ormai svanita ma anche la sua malinconia- quella di mio padre- l'amore per qualcosa che non conoscevo, che non avevo mai visto ma che dentro, mi mancava. Interpretai così questa nuova sensazione come la definizione di "Malinconia". Per quanto il concetto restasse in me ancora vago, me ne andavo via certa di essermi ammalata di una malattia straordinaria. Soprattutto speravo che durasse almeno un pò, che non mi abbandonasse subito e quando poi spariva, aspettavo che i suoi sintomi tornassero a farmi visita. La malinconia è un viaggio senza fine e chi ne è vittima non vuole essere svegliato. Nella mia ancestrale definizione di questo inafferrabile termine era custodito un dono prezioso che non ho mai smesso di usare, un segreto tra me e lui che svelava già le prime, istintive istruzioni per l'uso, di una segreta macchina del tempo.
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